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(Ernesto Codignola)

Geografia Italia

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L'ECONOMIA CENNI STORICI Protostoria Età romana Alto Medioevo Basso Medioevo Prima età moderna Il Settecento L'Ottocento Il Novecento

IL PERCORSO ARTISTICO E CULTURALE Dall'antichità all'anno Mille Il Romanico e le suggestioni transalpine La lunga parabola gotica e il Quattrocento Dal Rinascimento al Settecento: il ruolo di Torino capitale

IL PERCORSO ARTISTICO E CULTURALE Dalla Restaurazione al Novecento Il Novecento LE CITTÀ Torino Luoghi di interesse La Mole Antonelliana Teatro Regio

LE CITTÀ Torino Luoghi di interesse Palazzo Madama Basilica di Superga Il Lingotto Il Complesso del Valentino Parco del Valentino Castello del Valentino Borgo Medioevale Piazza Castello Palazzo Reale

Le città Torino Luoghi di interesse Cattedrale Piazza S. Carlo Palazzo Carignano Gran Madre di Dio I Musei di Torino Museo Egizio Galleria Sabauda Museo nazionale del Risorgimento italiano Museo nazionale dell'Automobile "Carlo Biscaretti di Ruffia" LA TRAGEDIA DI SUPERGA LA FIAT

Torino Luoghi di interesse SACRA SINDONE LE CITTA' Alessandria Asti Biella Cuneo LANGHE E MONFERRATO Novara

LE CITTA' Verbania ISOLE BORROMEO Vercelli PICCOLO LESSICO Bagnacauda Barbera Canale Cavour Giandujotto Langhe Monferrato Vermouth PERSONAGGI CELEBRI Gianni Agnelli Vittorio Alfieri Camillo Benso conte di Cavour Massimo D'Azeglio Cesare Pavese Silvio Pellico

Centri minori Acqui Terme Alba Arona

CENTRI MINORI Borgomanero Borgosesia Casale Monferrato Chieri Chivasso

CENTRI MINORI Domodossola Gattinara Ivrea Macugnaga Moncalieri Mondovì Orta San Giulio Saluzzo Santhià Sestriére Stresa Tortona

CENTRI MINORI Valenza Varallo Pombia

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GEOGRAFIA - ITALIA - PIEMONTE

IL PERCORSO ARTISTICO E CULTURALE

Dall'antichità all'anno Mille

Prerogativa peculiare del Piemonte, densa di riflessi in campo artistico, è di essere terra di confine tra due mondi: quello mediterraneo a Sud e quello dell'Europa continentale a Nord; confine tuttavia assai permeabile poiché da sempre attraversato, nelle due direzioni di marcia, da eserciti, mercanti, pellegrini che, muovendosi lungo la Via Francigena (già strada consolare romana, oggetto di accurata manutenzione fino al tardo Impero), valicavano i suoi passi valsusini (Moncenisio e Monginevro) e valdostani (Grande e Piccolo San Bernardo) e anche il Sempione all'estremo della Val d'òssola, come attestano i più antichi materiali di produzione romana emersi dalla necropoli di Ornavasso (I-II secolo a.C., ora al Museo del Paesaggio di Verbania). L'intera romanizzazione della regione si era completata sotto Augusto e fu suggellata dagli archi a lui dedicati a Susa (c. 8 a.C.) e ad Aosta (25 a.C.). A questo imperatore si deve la creazione di tre capisaldi dell'organizzazione del territorio: Augusta Taurinorum (Torino), Augusta Bagiennorum (Bene Vagienna), e Augusta Praetoria (Aosta). Anche l'epoca tardo-antica lasciò segni tangibili, come attestano le trasformazioni alla cinta muraria di Susa e la costruzione della porta Savoia poi addossata alla Cattedrale (III sec. d.C.) o il sarcofago di Elio Sabino (Testona, Museo Civico), legato alla cultura di derivazione greco-ellenistica, forse giunto a Testona dalla zona di Aquileia-Grado. La diffusione del Cristianesimo ricalcò la situazione consolidata nei secoli dell'Impero romano; gran parte delle chiese furono fondate su precedenti nuclei romani, come accadde alla primitiva sede vescovile di Aosta (V sec.), trasformatasi poi nella cattedrale romanica, edificata appunto su un preesistente edificio romano. Eccezionale esempio superstite di quest'età è l'ottagonale battistero di Novara (V-VI secolo, modificato tra X e XI, epoca a cui appartengono gli affreschi del tiburio) da cui discendono quelli di Settimo Vittone e di San Ponso Canavese. Anche i Longobardi posero particolare attenzione alla conquista di posizioni strategiche di confine individuate nelle "chiuse" della Val di Susa e in quella di Belmonte, unico abitato barbarico del Piemonte (VI-VII secolo), mentre sedi ducali longobarde erano a Torino, Ivrea, Asti. Importanti reperti longobardi provenienti dalla necropoli di Testona (VI-VII secolo) e dalla tomba di Borgo d'Ale (VII sec.) sono ora conservati al Museo di Antichità di Torino, mentre al Museo Civico d'Arte antica è il tesoro di Desana (Vercelli) che comprende splendidi gioielli ostrogoti (V-VI secolo).

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Il Romanico e le suggestioni transalpine

L'intensa attività edificatoria che prese l'avvio dopo l'anno Mille lasciò in Piemonte molteplici esempi di alto livello. Lo testimonia in particolare la città di Aosta, che sotto il vescovato di Anselmo vide riedificata la Cattedrale e fondata la chiesa dei Ss. Pietro e Orso; il chiostro di quest'ultima, unico esempio superstite a capitelli istoriati di tutta l'Italia settentrionale, è di poco più tardo poiché legato al vescovo Erberto e datato 1132. Entrambe le chiese furono interamente affrescate (come attesta quanto sopravvive ancora nei rispettivi sottotetti) entro la prima metà dell'XI secolo. Negli stessi anni il vescovo di Ivrea Warmondo faceva ricostruire la propria cattedrale (ma non rimane oggi che la zona absidale) e fondava quel famoso "sciptorium" che produsse, tra gli altri codici, il celebre Sacramentario di Warmondo. Al suo grande avversario Arduino e al famoso architetto e monaco Guglielmo da Volpiano (961-1031), è legata l'abbazia di Fruttuaria a San Benigno Canavese. Anche Arduino ebbe un acerrimo nemico: il vescovo di Vercelli, Leone (999-1026), che nell'anno Mille ottenne dall'imperatore Ottone III i beni del marchese d'Ivrea; a lui si deve la costruzione dell'antico Duomo vercellese, raso al suolo fra XVI e XVIII secolo, ricco di meravigliosi arredi tra cui il monumentale Crocifisso d'arco trionfale in lamina d'argento (1000-1020) ora splendidamente restaurato. In area novarese è ancora possibile vedere straordinarie testimonianze di questa stagione negli affreschi della chiesa di S. Tommaso a Briga Novarese e in S. Michele a Oleggio; ma il più affascinante monumento di scultura romanica di tutta la provincia si trova nella basilica di S. Giulio, sull'omonima isola del Lago d'Orta; si tratta del pulpito in marmo nero (1110-20), opera di uno scultore lombardo. La geografia favorì, anche in questa età, la nascita di fondazioni in luoghi strategici; due grandi esempi sono l'abbazia di Novalesa e quella di S. Michele della Chiusa, punti di osmosi tra la cultura oltralpina e quella lombarda. La prima conserva, nella Cappella di S. Eldrado, un famoso ciclo di affreschi databile alla fine dell'XI secolo, mentre la celebre Sacra di S. Michele, fondata tra il 983 e il 987, ha il proprio gioiello nel portale del grande Nicolò, la cui formazione crebbe sull'altissima tradizione inaugurata da Wiligelmo nella cattedrale di Modena. Il passaggio dal Romanico al Gotico venne giocato in Piemonte con soluzioni di compromesso tra le forme della tenace tradizione lombarda e le nuove suggestioni oltremontane. Di grande rilievo per la penetrazione del nuovo linguaggio, fu la costruzione di molteplici abbazie cistercensi che sorsero a partire dalla metà del XII secolo; tra le più importanti quelle di Staffarda (Saluzzo), interamente in cotto, Lucedio (Vercelli), Rivalta Scrivia (Novara) e la canonica di S. Maria di Vezzolano, gioiello del Medioevo piemontese. Ma il vero monumento del primo Gotico piemontese è costituito da S. Andrea di Vercelli, voluto dal cardinale Guala Bicheri nel 1219.

La lunga parabola gotica e il Quattrocento

Lo sviluppo dell'architettura gotica in Piemonte a partire dal XIII secolo si deve alla spinta dei grandi ordini mendicanti (soprattutto francescani e domenicani) alla costruzione di nuove sedi di culto; a questa si affiancò la diffusione di un'architettura militare e difensiva legata alla nobiltà feudale (si pensi alle torri che punteggiavano la Valle d'Aosta, trasformate nel Trecento in potenti castelli) che permeò di sé il panorama della regione. Ai domenicani si deve l'unica chiesa gotica torinese ancora esistente: S. Domenico, che conserva un raro ciclo ad affresco databile alla metà del Trecento. Negli stessi anni gli Agostiniani fondarono, a Vercelli, S. Marco (oggi sede del mercato), conclusa nel XV secolo, mentre i francescani edificarono i loro complessi conventuali a Vercelli (1292), a Cuneo (fine XIII sec.), ad Alessandria (consacrato nel 1314) e ad Aosta (metà Trecento). Le chiese gotiche piemontesi, generalmente a tre navate e costruite in laterizio, furono partecipi delle scelte culturali lombarde; un'eccezione, più aderente al gusto oltralpino, fu la Cattedrale di Asti. Suggestioni legate all'Oltralpe si trovano anche in quanto di più eletto si conserva della pittura astigiana di metà Trecento: gli affreschi della cappella del castello di Montiglio e della seconda campata del chiostro di S. Maria di Vezzolano; diverso orientamento mostra l'area alessandrina, allineata alle tendenze lombarde, come indicano gli affreschi della ex Sala capitolare di S. Francesco a Cassine (entro la metà del Trecento) o la più tarda decorazione dell'abside maggiore di S. Giustina di Sezzàdio, ormai piena espressione del Gotico internazionale. Il massimo rappresentante di questo gusto fu il torinese Giacomo Jaquerio, pittore degli Acaia, dei Savoia e di potenti istituzioni ecclesiastiche; educato alla maniera che si era definita presso le grandi corti di Francia, divenne punto di riferimento per la pittura nel Piemonte occidentale nel corso di tutta la prima metà del XV sec. La sua prova più intensa si trova nel complesso abbaziale di S. Antonio di Ranverso, dove l'artista si espresse su differenti registri: raffinatissimo ed elegante nella Madonna in trono del presbiterio, appassionatamente drammatico nella Salita al Calvario della sagrestia. A un maestro di stretta osservanza jaqueriana si deve il bel ciclo, voluto da Bonifacio I di Challant, eseguito intorno agli anni '20 del Quattrocento nella ex sala-cappella e nel cortile del castello di Fénis. L'apertura degli artisti piemontesi a fatti culturali europei è documentata anche da un eletto esempio scultoreo qual è la Madonna col Bambino del Duomo di Chieri databile al secondo decennio del Quattrocento e partecipe delle tendenze borgognone. Il Duomo di Chieri, ricostruito a partire dai primi anni del XV secolo con un fortissimo sviluppo verticale del coronamento dei portali, che troverà ampia eco in Piemonte, conserva nel suo battistero un altro importante episodio decorativo: il ciclo della Passione (post 1432) di Guglielmetto Fantini che innovò la lezione jaqueriana su cui era cresciuto, come dimostra il bel trittico, firmato e datato 1435, ora al Museo d'Arte antica di Torino. La Chieri quattrocentesca era una delle città economicamente più importanti della regione per la presenza di ricche famiglie di banchieri e di mercanti; tra le più prestigiose fu quella dei Villa, in rapporto con le Fiandre, che scelse, per arredare le proprie cappelle, due opere precoci di Rogier van der Weyden destinate a incidere profondamente sulla cultura locale: il celebre trittico dell'Annunciazione (ora a Parigi, Louvre), le cui ante laterali sono conservate alla Galleria Sabauda, e quello della Crocifissione (ora a Riggisberg, coll. Abbeg). Diverse le tendenze di gusto dell'area orientale del Piemonte, da sempre legate alla maniera lombarda (come testimonia l'attività di Johannes de Campo in terra novarese o il ciclo di affreschi di casa Zoppi a Cassine, presso Alessandria), e della Valle d'Aosta, rivolta al mondo oltralpino. Il grande mecenate che, a partire dagli anni Settanta fino alla morte (1509), arricchì le proprie dipendenze valdostane fu Giorgio di Challant, priore di S. Orso, promotore della decorazione del priorato e della collegiale, che seppe trasformare il castello di Issogne, di cui divenne feudatario nel 1494, in una ricca dimora signorile. Qui lavorò tale Colin, artista già attivo a Ivrea; a lui si devono il ciclo della cappella del castello di Issogne e le famose "Botteghe" del portico, mentre un altro personaggio, fortemente segnato dalla maniera borgognona, decorò la grande Sala di Giustizia. Per Giorgio di Challant lavorò anche un miniatore oltralpino che ornò i due messali del priore (l'uno in collezione privata torinese, il secondo in S. Orso). è solo in anni recentissimi che la critica ha ricostruito l'attività dell'artista più significativo del Piemonte del secondo Quattrocento, destinato a lasciare profonda traccia di sé nell'area Nord-occidentale, ed è riuscita a dargli un nome: si tratta del borgognone Antonio de Lonhy, straordinario epigono delle innovazioni fiamminghe; è documentato nel 1462 al castello sabaudo di Avigliana, ma lo conosciamo a Tolosa e a Barcellona come pittore, miniatore, disegnatore per ricami e maestro vetraio. Tra le opere più importanti a lui attribuite sono il polittico con Storie di S. Pietro (Aosta, già in S. Orso), la tavola della Trinità (Torino, Museo d'Arte antica), le Ore di Saluzzo (Londra, British Library), Il "Breve dicendorum compendium" (Torino, Biblioteca Nazionale), gli affreschi del presbiterio e della Cappella Provana all'abbazia della Novalesa. Negli stessi anni nell'area compresa tra Casale, Ivrea e Vercelli, andava crescendo una nuova figura d'artista: Giovanni Martino Spanzotti, formatosi sull'opera del Cossa bolognese, capace di assimilare i caratteri peculiari della luminosità pierfrancescana e di confrontarsi con la cultura del secondo Quattrocento provenzale. Fondamentale testimonianza della sua prima maniera sono la Madonna Tucker (Torino, Museo d'Arte antica) e il ciclo con le Storie della vita di Cristo nella chiesa di S. Bernardino di Ivrea; tra il 1486 e il 1495 si situa la sua attività al Sacro Monte di Varallo, per il quale eseguì il gruppo libero di sculture lignee, la cosiddetta Pietra dell'Unzione (Varallo Sesia, Pinacoteca). Le proposte di questo artista, la cui attività si inoltra nel Cinquecento, ebbero un'ampia eco soprattutto tra gli allievi della sua bottega chivassese, primo fra tutti Defendente Ferrari. Alternativo a Spanzotti fu Macrino d'Alba, legato alla pittura rinascimentale tosco-romana del tardo Quattrocento; tra le sue opere più significative sono la Madonna col Bambino e santi (1495, Torino, Museo d'Arte antica) e l'ancona per il santuario di Crea (1503). In area occidentale la più alta personalità a cavallo tra i due secoli fu quella di Hans Clemer (già noto come Maestro d'Elva), attivo per la corte marchionale dei Saluzzo e cresciuto su esperienze figurative provenzali, da Quarton a Lieferinxe. Oltre il ciclo della parrocchiale di Elva, di lui si ricordano in particolare la Madonna col Bambino della parrocchiale di Celle Macra (1496) e la Madonna di Misericordia (c. 1498, Saluzzo, Museo di casa Cavassa). è ancora la terra dei marchesi di Saluzzo che vede gli ultimi esempi di architettura gotica in Piemonte. Tra il 1491 e il 1501 viene eretto il nuovo Duomo, dalla navata centrale assai sopraelevata; negli stessi anni avviene la trasformazione del coro della chiesa d. S. Giovanni in cappella marchionale (1491-1504), che segna il momento estremo del gotico piemontese.

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Dal Rinascimento al Settecento: il ruolo di Torino capitale

Il vescovo di Torino Domenico della Rovere, affidando all'architetto Meo del Caprina da Settignano la riedificazione del Duomo della città (1491-98), aprì la strada a nuove esperienze legate al gusto rinascimentale (Brunelleschi, Alberti) che in Piemonte si mostrò assai articolato; è evidente, per esempio, l'adesione a proposte bramantesche sia nel S. Sebastiano di Biella (1504 metà XVI secolo) sia nella parrocchiale di Roccaverano (Asti), eseguita probabilmente su disegno dello stesso Bramante. Anche la scultura segnò, in apertura di Cinquecento, un drastico passaggio alla maniera rinascimentale; lo testimonia il monumento funebre di Galeazzo Cavassa (1518-23) dovuto a Matteo Sanmicheli (Saluzzo, Sala capitolare di S. Giovanni), che orientò tutta la scultura locale. Nelle stesse date è attivo ad Asti un pittore che conobbe buona fortuna anche nell'alessandrino: Gandolfino da Roreto; diverso, e circoscritto all'area torinese, fu invece il mercato figurativo legato a Defendente Ferrari che ebbe bottega a Chivasso. Attento all'area provenzale, ma nutrito anche di dati rinascimentali padani, la sua maniera si riconosce a partire dalle tavolette con Storie di S. Crispino e Crispiniano (ante 1507), ora reinserite intorno alla Madonna in trono del Duomo di Torino, fino al monumentale polittico della Natività e santi (1531, S. Antonio di Ranverso). Ma i risultati forse più interessanti del Cinquecento piemontese si coagularono intorno a Gaudenzio Ferrari, attivo tra Vercelli, Novara e la Valsesia. Partito da esperienze lombarde, ampliò i propri orizzonti con due soggiorni romani. Le sue prove migliori furono legate alla Valsesia (Storia della vita di Cristo, Varallo, S. Maria delle Grazie) e alla sua ampia partecipazione alla decorazione delle cappelle del Sacro Monte. L'insegnamento di Gaudenzio condizionò, in particolare a Vercelli, ogni possibile alternativa, come dimostra il corpus di cartoni conservati all'Accademia Albertina di Torino, che trasmisero il repertorio formale del maestro. Con il trasferimento della capitale sabauda da Chambéry a Torino (1563) la città andò assumendo nuova dignità e si aprì a contatti che determinarono la diffusione della cultura manierista romana. Nel 1605 giunse in città l'urbinate Federico Zuccari (già attivo a Caprarola per palazzo Farnese) chiamato a decorare la Grande Galleria voluta da Carlo Emanuele I che univa il Palazzo ducale al Castello (Palazzo Madama) e che un incendio distrusse nel 1659. La sua decorazione esercitò un forte influsso soprattutto in area cuneese: in palazzo Cravetta a Savigliano, alla certosa di Chiusa Pesio, al santuario di Vicoforte, iniziato su progetto di Vitozzi. La funzione di capitale assunta da Torino ne modificò anche la forma urbana, adeguandola al nuovo ruolo di centro del potere. Vitozzi aprì la "contrada nuova" (via Roma) che collegò il Palazzo ducale al Castello di Miraflores (oggi distrutto); quindi operarono Carlo di Castellamonte (piazza S. Carlo) e il figlio Amedeo, autore della facciata di Palazzo Reale (1646-58); ma già pochi anni dopo l'attività torinese di Guarino Guarini (1666-81) avviò un grande rinnovamento. Tra i suoi capolavori la Cappella della S. Sindone (1668-94) e la chiesa di S. Lorenzo (1668-80), ambedue a pianta centrale e realizzate con un audacissimo uso delle strutture, il Collegio dei nobili (ora Accademia delle Scienze) e Palazzo Carignano (1679- 81). In questi ultimi edifici utilizzò il mattone a vista, suggestionando un'intera generazione di architetti che ne diffuse l'uso in tutta la regione, segnandone così il paesaggio. I primi decenni del Settecento furono caratterizzati dalla presenza di Filippo Juvarra, giunto a Torino a seguito del re Vittorio Amedeo II di ritorno dalla Sicilia. I suoi primi interventi furono la basilica di Superga, ancora legata a ricordi romani, e l'avvio dei lavori al castello di Rivoli (1715). Cinque anni dopo progettò, per Palazzo Reale, l'elegante e geniale Scala delle Forbici e, nel 1729, iniziò la costruzione della Palazzina di caccia di Stupinigi di cui curò anche la progettazione degli interni. Verso la metà del secolo si inserirono nell'ambiente piemontese notevoli presenze esterne legate ad acquisti di opere d'arte fatte dai ministri della real casa a Roma, Napoli e Venezia e all'arrivo a Torino di artisti quali il napoletano Francesco de Mura e il romano Gregorio Guglielmi; ma la presenza che determinò una svolta in campo pittorico fu quella di Bernardo Bellotto, a cui Carlo Emanuele III commissionò due vedute di Torino (ora alla Galleria Sabauda). Con l'arrivo di Lorenzo Pécheux, chiamato nel 1776 da Vittorio Amedeo III a dirigere l'accademia di pittura e scultura, la cultura piemontese si aggiornò su nuovi orientamenti neoclassici. Alla fine del secolo fu invece la pittura di paesaggio che segnò l'avvio verso nuove ricerche; particolarmente significative le opere di Giuseppe Pietro Bagetti, che rivestì il ruolo di "disegnatore di vedute" al seguito dell'esercito sabaudo, e di César van Loo, a cui guardarono i paesaggisti del primo Ottocento piemontese.

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